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L’ELUSIONE FRAUDOLENTA DI UN ADEGUATO MODELLO ORGANIZZATIVO EX D. LGS. 231/2001 ESCLUDE LA RESPONSABILITÀ DA REATO DELLA SOCIETÀ
Il caso
In data 29 gennaio 2020 la Procura della Repubblica di Como
ha archiviato le indagini pendenti nei confronti di una società per l’illecito
amministrativo da reato di cui all’art. 25 co. 2 del D. Lgs. n. 231/2001, in
relazione ai delitti di corruzione previsti agli artt. 318, 319 e 321 c.p.[1].
Secondo l’accusa, il presidente ed un consigliere delegato
della società coinvolta avevano consegnato ad alcuni intermediari,
commercialisti di propria fiducia, una ingente somma di denaro occorrente a
corrompere il direttore di un’Agenzia delle Entrate territoriale.
In particolare, la dazione di denaro era finalizzata ad
ottenere indebite riduzioni delle pretese erariali e la protezione nelle
verifiche fiscali pendenti nei confronti della società.
In ciò si sarebbe sostanziato l’interesse o il vantaggio
dell’ente, presupposto necessario per l’imputazione nei suoi confronti della
responsabilità amministrativa da reato in relazione ai delitti contro la pubblica
amministrazione commessi dai propri vertici aziendali, ai sensi dell’art. 5 co.
1 lett. a) del D. Lgs. n. 231/2001.
La disciplina normativa
Come è noto, il decreto legislativo n. 231 del 2001 (Disciplina
della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e
delle associazioni anche prive di personalità giuridica) prevede che, nel
caso in cui determinate figure aziendali (come gli amministratori, i
rappresentanti legali, i dirigenti, i dipendenti a loro subordinati) commettano
alcuni reati cosiddetti “presupposto” (ad esempio corruzione,
riciclaggio, omicidio colposo in violazione delle norme sulla sicurezza sul
lavoro, reati ambientali e fiscali) nell’interesse o vantaggio di una società,
essa possa essere chiamata a rispondere del corrispondente illecito
amministrativo dipendente da reato previsto dal decreto medesimo, con sanzioni
pecuniarie ed interdittive che nei casi più gravi possono arrivare fino ad
1,549 milioni di euro e all’interdizione definitiva dall’esercizio
dell’attività.
Tale disciplina consente tuttavia alla società di poter
andare esente da una simile responsabilità amministrativo-penale qualora essa
abbia adottato ed efficacemente attuato – prima della commissione del fatto
penalmente rilevante – taluni presidi cautelari idonei a prevenire reati della
stessa specie di quello verificatosi.
Il decreto legislativo n. 231/2001 richiede in primo luogo che la società abbia predisposto un modello di organizzazione, gestione e controllo, ossia un sistema di documenti e procedure organizzative con cui l’azienda
- individua le attività nel cui ambito vi è il rischio di commissione dei reati-presupposto previsti da tale normativa
- adotta specifici protocolli per programmare la formazione e l’attuazione delle proprie decisioni in relazione alle aree a rischio
- individua modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a prevenire la commissione di tali reati
- predispone canali di flussi informativi nei confronti dell'Organismo di Vigilanza appositamente nominato
- prevede le sanzioni disciplinari da adottare in caso di violazioni del Modello.
In secondo luogo, la normativa in commento prescrive che la
società abbia provveduto a nominare un Organismo di Vigilanza (OdV).
Tale “ufficio dell’impresa” – come definito dalla dottrina
maggioritaria in ragione della sua estraneità agli organi societari tipici ed
ai relativi poteri di gestione[2]
– deve essere munito di autonomi poteri di iniziativa e controllo per esercitare
la funzione di vigilanza effettiva sul funzionamento e sull’efficacia del
Modello, e rappresenta il fulcro del sistema di flussi informativi che
l’azienda dovrà adottare per consentire la segnalazione degli illeciti
rilevanti ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 commessi al proprio interno, al fine
di predisporre le eventuali implementazioni dei protocolli di prevenzione e
gestione del rischio-reato.
In tal modo, qualora un soggetto cd. apicale (art. 5 co. 1
lett. a)) si renda responsabile di taluno dei reati-presupposto previsti agli
artt. 24 e seguenti del D. Lgs. n. 231/2001, il rapporto di immedesimazione
organica che si presume esistente tra gli organi dotati di poteri di direzione
e gestione dell’ente e la volontà dello stesso implica un’inversione dell’onere
della prova dell’efficacia esimente del Modello.
Ed invero, in tali ipotesi graverà sulla società – e non sul
Pubblico Ministero – il compito di dimostrare di aver adottato ed efficacemente
attuato un adeguato modello organizzativo interno, che non sussistano lacune o
inadempienze nell’attività di vigilanza dell’OdV, e che dunque l’autore abbia
commesso il reato “eludendo fraudolentemente” (art. 6 co. 1 lett. c)) il
Modello di organizzazione e gestione aziendale.
In particolare, l’elusione fraudolenta del Modello non si
risolve – come ribadito dalla giurisprudenza richiamata nel provvedimento in
commento – nella «semplice
frontale violazione [da parte dell’autore del reato] delle prescrizioni
adottate»[3]
dall’ente.
Essa, infatti, ha come necessario presupposto la diligenza
organizzativa aziendale, tale per cui la condotta del soggetto apicale
responsabile del reato presupposto abbia comportato la «rottura del rapporto di immedesimazione
organica» con la
volontà dell’ente.
In altri termini, è «necessario
dimostrare l’assenza di un deficit organizzativo e/o gestionale» da parte
della società, ossia «che il modello organizzativo ha rappresentato un
ostacolo per la realizzazione del progetto criminoso tale da costringere gli autori
del reato ad aggirare i controlli da esso previsti», attraverso una
condotta riconducibile ad una sua scelta personale che abbia «valenza
oggettivamente ingannevole […], non scongiurabile nonostante
l’attuazione delle prescrizioni del modello organizzativo»[4].
La soluzione
Nella vicenda definita con il provvedimento in commento le indagini hanno consentito di appurare che:
- la società si era dotata di un idoneo ed efficace Modello Organizzativo che, «nella parte speciale, prevede specifiche prassi, procedure e protocolli operativi con riferimento ai reati contro la pubblica amministrazione, che – in particolare, stigmatizzano “l’elargizione di promesse di denaro, beni o altre utilità di qualsiasi genere ad esponenti della Pubblica Amministrazione e/o a soggetti terzi da questi indicati o che abbiano con questi rapporti diretti o indiretti di qualsiasi natura e/o vincoli di parentela o affinità” […]. Ed ancora, “pagare una parcella maggiorata a legali in contatto con Organi giudiziari, affinché condizionino favorevolmente l’esito di un processo a carico della Società»;
- appresa l’originaria contestazione tributaria, la società aveva incaricato un difensore estraneo alla vicenda penale di resistere nelle sedi legali opportune, predisponendo un accantonamento di fondo imposte per l’eventuale soccombenza nel giudizio tributario ed informando il collegio sindacale e l’Organismo di Vigilanza, alle cui indicazioni si era adeguata. In tal senso, la condotta dell’ente è stata ritenuta corretta;
- l’OdV aveva esercitato prontamente i propri autonomi poteri di iniziativa e controllo, acquisendo dagli organi amministrativi la documentazione ed i chiarimenti relativi all’indagine penale, nonché – con audit interno – gli interrogatori con cui gli amministratori accusati ammettevano al Pubblico Ministero le proprie responsabilità;
- i rapporti tra le persone coinvolte nella corruzione erano risalenti nel tempo, personali ed esterni alle dinamiche societarie;
- gli amministratori infedeli si erano dimessi e la società aveva provveduto alla nomina di nuove persone estranee ai fatti.
Le circostanze suesposte hanno portato la Procura della
Repubblica di Como ad escludere che nel caso di specie fosse ravvisabile la
responsabilità da reato della società, disponendo pertanto l’archiviazione
delle indagini a suo carico.
L’organo inquirente, infatti, ha ritenuto che gli
amministratori societari coinvolti – che nel frattempo avevano definito la
propria posizione processuale con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.
– «hanno posto in essere condotte
totalmente al di fuori dei contesti sociali […], di fatto eludendo i
controlli interni, le procedure e il modello in vigore ai sensi del D. Lgs.
231/01. […] I presidi e controlli posti a fondamento dell’attività di
monitoraggio ex D. Lgs. n. 231/01 sono stati, nei fatti, aggirati e elusi dagli
ex amministratori, i quali hanno commesso il reato ipotizzato in totale
autonomia».
Le
conclusioni
La vicenda in commento dimostra l’importanza crescente che la
cultura della compliance aziendale e dell’approccio basato sulla individuazione
preventiva dei rischi-reato ha assunto nella vita dell’impresa.
L’adozione e l’efficace attuazione da parte dell’ente – prima della commissione di un fatto penalmente illecito – di un Modello Organizzativo conforme ai principi ed alla disciplina del D. Lgs. n. 231/2001 non costituisce un costo superfluo o una indebita intromissione nella vita della società.
Al contrario, l’analisi delle aree sensibili a rischio-reato, la predisposizione di specifici protocolli per regolamentare le decisioni interne e la nomina di un OdV autonomo ed indipendente possono rappresentare gli strumenti indispensabili per escludere il coinvolgimento dell’ente – e la conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie ed interdittive di particolare rilevanza – nel caso di reati commessi dai propri amministratori.
[1]
Per consultare il provvedimento, cfr. www.rivista231.it.
[2]
Per una sintesi del dibattito sulla natura giuridica dell’Organismo di
Vigilanza, cfr. A. De Nicola: L’organismo
di vigilanza 231 nelle società di capitali, Giappichelli, 2020, pag. 11-20.
[3] cfr.
Cass. Pen., sez. V, 18 dicembre 2013, n. 4677.
[4]
cfr. F. Sbisà – E. Spinelli (a
cura di): Responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs. 231/01),
Wolters Kluwer, 2020, pag. 45 – 46.
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