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L'obbligo di adozione del Modello 231 alla luce della Riforma dello Sport: spunti sui contenuti delle Linee Guida di FIGC e FIP

Premessa Tra le novità apportate dalla Riforma dello Sport va certamente sottolineato l’obbligo, per gli enti di settore, di redigere delle linee guida per la redazione di Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo nell’ambito dell’attività sportiva, in uno alla previsione di adottare codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione di molestie, violenza di genere e ogni altra condizione di discriminazione. Questa previsione funge da raccordo tra le prescrizioni della Riforma e quanto già sperimentato nel tema della compliance aziendale con la predisposizione dei Modelli adottati ai sensi del D.lgs. 231/2001, la cui esperienza pluriventennale è sempre stata supportata da linee guida di Confindustria che hanno fissato i paletti attorno ai quali disegnare e costruire la linee di prevenzione.  Sulla scorta di questo spirito della riforma la Federazione Italiana Giuoco Calcio e la Federazione Italiana Pallacanestro sono state tra le prime a rendere nota l’adozione di linee

L’APPLICABILITA' DEL D.LGS. 231/2001 ALLE SOCIETA' UNIPERSONALI.

 

Premessa

La Corte di Cassazione si è pronunciata di recente (sent. n. 45100/2021) in ordine all’applicabilità della disciplina prevista dal D. Lgs. 231/20021 alle società unipersonali. 
Il tema dell’esatta perimetrazione dei soggetti collettivi destinatari della normativa sulla responsabilità da reato degli enti non è nuovo: gli stessi Ermellini richiamano nella loro pronuncia la querelle dottrinale e giurisprudenziale che ha animato il dibattito sull'impresa individuale e sulla sua eventuale sovrapponibilità alle persone fisiche responsabili delle condotte penalmente illecite. 
La sentenza in parola si sofferma in particolare sul potere del giudice di individuare i soggetti cui la normativa del Decreto sia in concreto applicabile: viene rimarcata la necessità di un accertamento effettivo fondato su un criterio funzionale – e non solo formale – che permetta di rilevare la distinzione o meno tra l’interesse dell’ente e l’interesse della persona fisica sulla scorta di alcuni indici normativi e fattuali specifici. 
Sebbene non innovativa in punto definitorio e nozionistico, dunque, la pronuncia apre uno spiraglio interpretativo laddove affida al giudice il potere di verificare in concreto l'esistenza dei presupposti per la sussunzione del fatto illecito individuale nella responsabilità amministrativa da reato dell'impresa. 
Resta da capire se e come questo accertamento in concreto debba essere esercitato, senza forzare i limiti formali stabiliti dalla normativa. 

La pronuncia della Corte.

Nel solco di una querelle dottrinale e giurisprudenziale non del tutto nuova, la Corte di Cassazione ha di recente rimarcato l’area dell’esatto perimetro di applicazione del Decreto legislativo 231/2001, rimarcando la differenza – sostanziale questa volta – tra le imprese individuali e le società unipersonali. 
Queste ultime, per definizione, sono composte e gestite da un unico socio – nel caso all’attenzione della Corte in qualità di imputato per il reato presupposto di corruzione propria -, prive di Consiglio di Amministrazione e di soggetti titolari di specifiche funzioni aziendali. 
Una struttura così semplice ed essenziale ha portato a confondere, sul piano applicativo, le società unipersonali con l’impresa individuale. 
La pronuncia in commento, infatti, dà correttamente atto di quelle che sono state le oscillazioni della giurisprudenza sull’applicabilità del Decreto anche all’impresa individuale. Sul punto, due erano le tesi sul capo: da un lato, quella estensiva, che riteneva comunque che l’ente mantenesse una struttura tale da consentire di ritenerlo un soggetto autonomo e quindi autonomo centro d’imputazione; dall’altro, quella restrittiva, per cui la società unipersonale, vista la sua snellezza organizzativa e strutturale, di fatto si identifica con la persona fisica e quindi è “sostanzialmente” un’impresa individuale.
La distinzione tra le due figure è fondamentale per dirimere la questione sulla possibile applicazione della normativa di cui al D.lgs. 231/2001: l’art. 1, infatti, si occupa di definire i soggetti ai quali la normativa è applicabile prevedendo testualmente che “Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.”. Conseguenza ne è che la società unipersonale rientra a buon diritto tra i soggetti cui la disciplina del Decreto si applica, diversamente da quanto è lecito desumere per l’impresa individuale. 
Nel caso portato all’attenzione della Corte di Cassazione il solo dato testuale avrebbe potuto esaurire ogni questione interpretativa ulteriore, essendo il ricorrente titolare della società unipersonale implicata, ma la decisione della Corte di Cassazione, pur ponendosi in questo solco, aggiunge un tassello ulteriore, fondato sul potere di accertamento del giudice. 
E’ necessario, secondo gli Ermellini, un accertamento di fatto che faccia ritenere che un soggetto, anche formalmente riconducibile alla normativa, sostanzialmente non vi rientri. 
Si affida, quindi, nelle mani del giudice un potere di accertamento sostanziale volto a valorizzare le differenze, non solo definitorie, ma ontologiche tra le società unipersonali e le imprese individuali. 
Le prime, infatti, costituiscono un autonomo centro di imputazione, sono dotate di un patrimonio separato dalla singola persona fisica che le governa, sono, in definitiva, dotate di un’autonoma soggettività giuridica e, in alcuni casi, alcuni casi personalità giuridica. 
Le seconde, invece, pur quando dotate di una struttura più complessa non possono considerarsi in alcun modo enti e quindi sono esclusi dall’area di applicazione del D.lgs. 231/2001.
Il potere di accertamento in concreto assegnato al giudice dall’interpretazione di questa pronuncia persegue mira a contemperare due opposte esigenze: da un lato, evitare la violazione del principio del ne bis in idem, che prescrive che nessun soggetto può essere sottoposto due volte a procedimento penale, e, dall’altro, evitare che la persona fisica possa in qualche modo sottrarsi alla responsabilità patrimoniale, perché si finirebbe col permettere di considerare la società uno schermo per frammentare e polverizzare i rischi economici e normativi. 
Che è, in ultima analisi, la ragione per la quale la responsabilità da reato degli enti è stata introdotta nel nostro ordinamento. 

Conclusioni. 

La pronuncia appena illustrata affida nelle mani del giudice un potere di accertamento in concreto, che tralasci il solo dato formale del nome giuridico e si avvalga di un criterio funzionale che permetta di distinguere tra interesse dell’ente e interesse della persona fisica, avvalendosi anche di alcuni indici che vanno dall’organizzazione della società, all’attività in concreto svolta, passando per le dimensioni dell’azienda e l’interesse sociale perseguito. 
Questa conclusione, sebbene non innovativa in punto di eventuali estensioni o restrizioni del campo di applicazione del Decreto 231/2001 certamente apre a due osservazioni. 
La prima è che questa pronuncia testimonia l’approccio sostanziale della giurisprudenza in tema di interpretazione in materia di 231: il travalicare la forma per arrivare alla sostanza è un criterio utilizzato sia in merito alla valutazione dell’efficacia del Modello – si chiede infatti un’eventuale elusione fraudolenta del modello da valutare in concreto – nonché sulla tracciabilità dei controlli dell’Organismo di Vigilanza in ordine alla verifica sull’effettiva attuazione del Modello in azienda. 
La seconda è la consegna di un potere interpretativo, che superi la forma a vantaggio della sostanza, nelle mani nel giudice: diviene centrale in questa logica, allora, garantire la tracciabilità delle scelte assunte a livello di governance al fine di testimoniare l’attuazione anche di tutti i protocolli e le normative di secondo livello che una società sceglie di adottare. 
E’ una pronuncia che, in ultima analisi, valorizza il tema della compliance e dell’adeguatezza normativa che un’azienda virtuosa decide di seguire per tenere standard alti di competitività e continuità aziendale.



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