Premessa
“L’aspetto rivoluzionario della riforma sta nel riconoscere che il cibo ha una propria identità,
quale parte irrinunziabile e insostituibile della cultura dei territori, delle
comunità locali e dei piccoli produttori: fattori che definiscono, in sostanza,
il concetto di “patrimonio alimentare”. Conseguentemente, la tutela degli alimenti non può essere realizzata senza
tutelare anche i consumatori e
senza renderli allo stesso tempo partecipi e responsabili del loro patrimonio”.
Così Gian Carlo Caselli – già
Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio di Coldiretti sulla
criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare – ad un’intervista
rilasciata qualche anno fa per “Il Giornale del Cibo”, circa il progetto di
riforma dei reati in materia agroalimentare elaborato dalla sua Commissione nel
2015.
Il 25 febbraio 2020, il Consiglio dei Ministri ha cosìfinalmente
approvato il Ddl n. 283 rubricato “Nuove norme in materia di reati
agroalimentari”, con un
documento che riprende i contenuti del precedente DDL n. 2231 del
2016, con il quale era stato recepito tanto ambizioso progetto Caselli del
2015.
Trattasi di una riforma rivoluzionaria, volta ad incidere
organicamente sia sulle disposizioni intra codicem, sia sul novero dei
reati presupposto contemplati nel D.lgs. 231/2001, mediante l’inserimento di
nuove fattispecie criminose a tutela degli interessi protetti in materia
alimentare.
In effetti la sempre maggiore attenzione dei consumatori
nella selezione – acquisto – utilizzo dei prodotti agroalimentari ha reso
necessaria l’introduzione di una disciplina ad hoc della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche per i c.d. “food crimes” a
fronte di una lacuna normativa divenuta sempre più anacronistica.
I reati agroalimentari nell’economia del D.lgs. 231/2001
L’ introduzione nel Codice Penale e nella normativa
speciale di riferimento del concetto di “patrimonio agroalimentare” come nuovo
bene giuridico meritevole di tutela, è risultata necessaria in considerazione
del sempre maggiore verificarsi di attività imprenditoriali scorrette anche in
questo settore, unicamente volte ad aumentare i profitti dell’ente a discapito
delle prescrizioni che regolamentano la produzione, conservazione e vendita di
prodotti alimentari.
A titolo esemplificativo, si pensi alla grande impresa che
prepari alimenti con modalità che
non ne garantiscano la genuinità oppure
alla grande catena di distribuzione che conservi e poi venda alimenti alterati
o in cattivo stato di conservazione.
Per scongiurare un siffatto rischio, il legislatore ha
inteso perseguire due fondamentali obiettivi: da un lato, la tutela della
salute e dell’ imponente sistema economico che orbita attorno al settore
alimentare; dall’altro la tutela dei consumatori e delle imprese dalla
concorrenza sleale.
In particolare, quanto alle novità afferenti il Codice
Penale, il legislatore ha introdotto, con l’art. 517 quater c.p., il
nuovo reato di agro-pirateria, finalizzato a punire le organizzazioni criminali
infiltrate nel settore delle “agro-mafie”, mediante l’inflizione di sanzioni
limitative della libertà personale ed economiche.
Quanto invece alle modifiche in materia di responsabilità
amministrativa degli enti di cui al D. Lgs. 231/2001, esse riguardano
l’integrazione dei reati presupposto con i nuovi reati agro-alimentari e la
previsione di un Modello Organizzativo specifico per le imprese alimentari, con
un autonomo meccanismo di vigilanza.
In tal senso il legislatore ha concretamente scomposto
l’art. 25 bis co. 1 D.lgs. 231/2001 in tre distinti capi così
strutturati, onde tutelare tre distinte aree a rischio:
1.
Art. 25 bis. 1, rubricato “Delitti
contro l’industria e il commercio”;
2.
Art. 25 bis. 2, rubricato “Delle frodi
in commercio di prodotti alimentari”;
3.
Art. 25 bis. 3, rubricato “Dei delitti
contro la salute pubblica”.
Quanto al piano sanzionatorio, invece, oltre alle sanzioni
pecuniarie ricomprese tra le 100 e le 800 quote nei casi di cui all’art. 25 bis.
2 e tra le 300 e le 1000 quote nei casi di cui all’art. 25 bis. 3, sono
previste anche diverse sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 del D.
Lgs. 231/2001, da applicare:
– con riferimento all’art. 25 bis.
2. limitatamente ai soli casi di condanna per il summenzionato reato di
“agro-pirateria”;
– con riferimento all’art. 25 bis.
3. nei casi di condanna per tutte le fattispecie ivi menzionate secondo una
durata definita sulla base della gravità dell’illecito commesso.
In entrambi i casi, poi, alla previsione delle sanzioni
interdittive temporanee viene prevista la possibilità di ricorrere
all’applicazione nei confronti dell’ente della più grave misura
dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività “nel caso in cui
lo scopo unico o prevalente dell’ente sia il consentire o l’agevolare la commissione
dei reati sopra indicati”
A questo punto, non può omettersi una disamina specifica di
quello che è stato senz’altro l’intervento normativo di maggior rilievo, ovvero
l’introduzione della nuova disciplina di cui
all’art. 6 bis ex D. lgs 231/01, con cui si è inteso dare
attenzione ad ogni possibile situazione di deficit organizzativo aziendale,
suscettibile nel lungo periodo di evolversi in comportamenti illeciti.
La soluzione è data dalla predisposizione di un Modello 231
specifico per la prevenzione dei reati agroalimentari la cui adozione ed
efficace attuazione consente di fruire di una presunzione relativa di idoneità
alle imprese alimentari, intese come “ogni soggetto pubblico o privato, con
o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una
delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti” secondo
la definizione fornita a livello europeo dall’art. 3 del Regolamento (CE) n.
178/2002.
In definitiva l’art. 6 bis detta una disciplina applicabile
solo ed esclusivamente alle imprese alimentari come individuate dalla stessa
normativa, attraverso l’istituzione di un Modello 231 finalizzato al perseguimento
di tre ordini di tutele:
4.
tutela dell’interesse dei consumatori (ex
art. 6 bis lett. a) e b)):
5.
rispetto dei criteri relativi alla fornitura di
informazioni sugli alimenti;
6.
obbligo di verifica sui contenuti delle
comunicazioni pubblicitarie;
7.
obblighi a protezione della genuinità e della
sicurezza degli alimenti sin dalla fase di produzione, ex art. 6 bis
lett. c), d) ed e) del D. Lgs 231/2001;
8.
obblighi in merito agli standard di
monitoraggio e controllo (art. 6 bis lett. f) e g))
Inoltre, è previsto per le imprese di modeste dimensioni di
poter beneficiare di alcune semplificazioni operative, dettagliatamente
descritte nell’ art. 6 bis commi 3 e 4 d.lgs. 231/2001.
Ciò posto, in relazione al summenzionato art. 6 bis,
risulta evidente l’intento del legislatore, ovverosia quello di descrivere tassativamente i
requisiti essenziali che dovrà avere
il Modello di prevenzione del rischio delle imprese del settore, affinché questo possa
definirsi idoneo ad avere efficacia esimente o attenuante della responsabilità amministrativa delle imprese alimentari
costituite in forma societaria.
Conclusioni
Il legislatore ha posto in essere una riforma in chiave di
prevenzione generale, intendendo così, per un verso, rafforzare la risposta
punitiva dello Stato avverso ogni forma di manifestazione delle agro-mafie; per
altro verso, estendere la responsabilità penale
personale dell’autore dell’illecito agroalimentare anche alla Società, laddove il reato sia stato commesso da un
soggetto che riveste una carica apicale o subordinata nell’azienda,
nell’esclusivo interesse o a vantaggio della stessa, eludendo fraudolentemente
ogni strumento di controllo aziendali all’ uopo predisposto.