- Introduzione
La crescente digitalizzazione delle attività professionali ha reso gli studi legali, notarili, commercialisti e altri studi professionali particolarmente esposti ai rischi informatici. Questi rischi includono attacchi ransomware, furti di identità, accessi non autorizzati ai dati, phishing e perdita accidentale di informazioni sensibili. Gli studi professionali trattano non solo dati anagrafici, ma anche informazioni riservate su procedimenti legali, contenziosi, strategie contrattuali, bilanci e situazioni patrimoniali: si tratta quindi di un patrimonio informativo di altissimo valore che, se violato, può causare danni irreparabili alla reputazione dello studio e alla fiducia dei clienti.
Esempi pratici di scenari di rischio includono:
- attacchi ransomware che bloccano l’accesso a tutti i fascicoli digitali finché non venga pagato un riscatto;
- email di phishing inviate al personale con allegati malevoli che sottraggono credenziali di accesso ai sistemi;
- violazioni di account cloud che contengono documentazione contrattuale riservata;
- smarrimento di dispositivi portatili non cifrati contenenti dati sensibili dei clienti;
- accesso non autorizzato da parte di ex collaboratori a causa di account non disattivati;
- furto fisico di server o dispositivi non protetti adeguatamente.
La consapevolezza di questi scenari è fondamentale per implementare misure di prevenzione efficaci e mirate.
La gestione di dati personali e sensibili di clienti e dipendenti richiede quindi l’adozione di adeguate misure di sicurezza, non solo per evitare danni economici e reputazionali, ma anche per adempiere agli obblighi giuridici previsti dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), dal Codice della Privacy (D. Lgs. 196/2003 come modificato dal D. Lgs. 101/2018) e dalle normative di settore, che richiedono un approccio basato sul principio di accountability e sulla protezione dei dati fin dalla progettazione (privacy by design e by default).
- Obblighi giuridici in materia di cybersecurity
Gli studi professionali, in qualità di titolari del trattamento, devono garantire la riservatezza, l’integrità e la disponibilità dei dati personali trattati. Ciò significa che devono assicurare che i dati siano accessibili solo a soggetti autorizzati (riservatezza), che siano completi e non alterati in modo non autorizzato (integrità), e che siano disponibili quando necessario per il loro utilizzo legittimo (disponibilità).
Il GDPR, all’art. 32, prevede l’obbligo di adottare misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, il che implica un processo continuo di valutazione e aggiornamento, non un’azione una tantum. Le misure devono tenere conto dello stato dell’arte (quindi delle soluzioni tecnologiche più avanzate e affidabili disponibili), dei costi di attuazione (per assicurare un bilanciamento proporzionato), della natura dei dati trattati (es. dati sanitari, giudiziari, finanziari), del contesto e delle finalità del trattamento (ossia perché e come vengono gestiti i dati), nonché dei rischi per i diritti e le libertà delle persone fisiche, come il rischio di discriminazione, furto di identità, perdita finanziaria o danno reputazionale.
Per esempio, il principio di riservatezza richiede di garantire che solo soggetti autorizzati abbiano accesso ai dati: un caso pratico è l’uso di autenticazione a due fattori e restrizioni sugli account per impedire intrusioni.
Il principio di integrità implica che i dati non vengano modificati o danneggiati accidentalmente o intenzionalmente: ad esempio, si devono adottare controlli sugli accessi e registri di audit per verificare eventuali modifiche.
Il principio di disponibilità significa assicurare che i dati siano accessibili quando necessario, anche in caso di guasti o attacchi: ciò richiede piani di backup regolari, strategie di disaster recovery e test periodici di ripristino dei sistemi.
Tra gli obblighi principali, che vanno intesi non come meri adempimenti formali ma come pilastri concreti per garantire la tutela effettiva dei dati personali, rientrano:
- Valutazione dei rischi e adozione di politiche di sicurezza: si basano sull’art. 32 GDPR e sugli articoli 5 e 25 (principi di accountability e privacy by design/by default).
Lo studio deve effettuare analisi periodiche dei rischi legati al trattamento dei dati, includendo l’identificazione delle minacce interne (ad esempio errori umani o abusi da parte del personale) e delle minacce esterne (come cyberattacchi, malware, phishing). È necessario individuare le vulnerabilità tecnologiche e organizzative, classificare i dati per livello di sensibilità, stimare l’impatto potenziale in caso di violazione e determinare le probabilità di accadimento. In base ai risultati, lo studio deve redigere documenti di valutazione d’impatto (DPIA) quando necessario, definire piani di mitigazione e adottare policy che stabiliscano regole e procedure precise per la sicurezza informatica (come password, accessi, crittografia), fisica (controllo degli accessi agli uffici, protezione dei supporti cartacei) e organizzativa (definizione di ruoli e responsabilità, procedure di emergenza e continuità operativa).
- Nomina di responsabili del trattamento e stipula di accordi: è prevista dall’art. 28 GDPR.
Lo studio deve formalizzare rapporti con fornitori esterni (es. servizi cloud, software gestionali, consulenti IT, società di archiviazione dati) tramite contratti scritti che disciplinino in modo preciso i compiti, le responsabilità e le misure di sicurezza adottate, garantendo la tracciabilità dei ruoli e delle operazioni svolte (art. 28 GDPR). Tali contratti devono includere clausole specifiche sul rispetto delle istruzioni del titolare, sugli obblighi di riservatezza del personale del responsabile, sulle misure tecniche e organizzative da adottare, sui termini per la cancellazione o restituzione dei dati al termine del servizio, sui controlli e audit che il titolare ha diritto di effettuare, nonché sulla gestione degli eventuali sub-responsabili. È buona pratica predisporre anche checklist di controllo pre-contrattuale per verificare la solidità e l’affidabilità del fornitore prima della stipula.
- Informazione e formazione del personale: è ricavabile dagli articoli 29 e 32 GDPR (poiché le persone autorizzate devono agire sotto istruzioni e in sicurezza)
È obbligatorio istruire periodicamente dipendenti e collaboratori sui rischi informatici, sull’uso corretto degli strumenti e sull’importanza di adottare comportamenti sicuri. La formazione deve essere strutturata su più livelli: sessioni introduttive per i nuovi assunti, aggiornamenti annuali per tutto il personale, focus su tematiche specifiche (come phishing, gestione sicura delle password, utilizzo corretto dei dispositivi mobili) e simulazioni pratiche per testare la prontezza del personale di fronte a scenari concreti. È consigliabile includere anche momenti di formazione personalizzati per ruoli specifici (ad esempio, per chi gestisce accessi amministrativi ai sistemi), aggiornamenti urgenti in caso di nuove vulnerabilità scoperte, e sessioni interattive per stimolare il coinvolgimento attivo (come workshop, laboratori pratici e role-play). È fondamentale documentare la partecipazione ai corsi, verificare l’effettiva comprensione tramite test scritti o simulazioni, raccogliere feedback per migliorare i programmi futuri e prevedere momenti di aggiornamento continuo in base all’evoluzione delle minacce informatiche, delle normative di riferimento e dei risultati delle verifiche interne.
- Notifica di eventuali violazioni dei dati personali (data breach) all’Autorità Garante entro 72 ore: è disciplinata dagli articoli 33 e 34 GDPR
In caso di incidente che comprometta la sicurezza dei dati personali, lo studio deve attivare una procedura interna ben strutturata che includa la rilevazione tempestiva dell’evento, la valutazione della natura e gravità della violazione, la stima del numero di interessati coinvolti e dei potenziali danni, la documentazione dettagliata (anche a fini di prova di accountability) e, se necessario, la notifica all’Autorità Garante entro 72 ore dalla scoperta, come previsto dall’art. 33 GDPR.
Tale notifica deve indicare almeno: la natura della violazione, le categorie e il numero approssimativo di interessati e di registrazioni di dati coinvolte, le possibili conseguenze, le misure adottate o proposte per rimediare all’incidente. Nei casi più gravi, lo studio deve anche informare direttamente gli interessati, come previsto dall’art. 34 GDPR. È importante mantenere un registro interno di tutti i data breach, anche quelli non notificabili, per garantire tracciabilità.
È inoltre utile considerare le linee guida EDPB (European Data Protection Board) e le indicazioni fornite periodicamente dal Garante per la protezione dei dati personali, oltre alle norme di settore e ai codici deontologici applicabili.
- Strategie di cybersecurity per studi professionali
Le strategie di cybersecurity devono essere personalizzate sulla base delle dimensioni dello studio, del tipo di dati trattati e delle modalità di lavoro (in presenza, da remoto, in cloud). Ciò significa che uno studio di piccole dimensioni, con dati prevalentemente amministrativi, adotterà misure diverse rispetto a uno studio internazionale che gestisce dati sensibili e giudiziari o opera su più sedi e piattaforme cloud. La strategia deve considerare anche il livello di competenza informatica del personale, il numero di dispositivi utilizzati, la dipendenza da fornitori terzi, e il contesto operativo (es. smart working, accessi mobili, attività transfrontaliere).
È fondamentale effettuare una valutazione mirata per capire quali rischi prevalgono e quali investimenti siano più efficaci: ad esempio, per uno studio con alta mobilità sarà prioritario proteggere gli accessi VPN e i dispositivi mobili, mentre per uno studio con grandi archivi digitali sarà essenziale rafforzare backup e sistemi di continuità operativa.
Le principali azioni strategiche includono, e possono essere adattate con esempi pratici a seconda della tipologia di studio. Per esempio: uno studio legale internazionale dovrebbe implementare controlli avanzati per la gestione di documenti legali riservati tra sedi distribuite, proteggere le comunicazioni cross-border e garantire la compliance con normative extra-UE come il CCPA (California Consumer Privacy Act); uno studio notarile con elevato uso di documentazione cartacea digitalizzata dovrebbe concentrare gli sforzi su sistemi di archiviazione sicuri e politiche di backup robusto; uno studio di commercialisti che opera prevalentemente in smart working dovrà invece prioritariamente proteggere accessi VPN, dispositivi remoti e connessioni Wi-Fi casalinghe del personale.
Le principali azioni strategiche includono:
- Valutazione e gestione del rischio: comprende un processo articolato che parte dalla mappatura dei dati trattati (identificando tipologie, finalità, flussi interni ed esterni), prosegue con l’identificazione delle vulnerabilità (sia tecnologiche, come software obsoleti o reti non protette, sia organizzative, come scarsa formazione o procedure inadeguate), e si completa con l’analisi delle minacce specifiche (come ransomware, phishing, furti fisici, errori umani). Sulla base di queste analisi, si predispone un piano di gestione che assegna priorità agli interventi, definisce le responsabilità interne, stabilisce le misure di prevenzione (come aggiornamenti software, rafforzamento delle credenziali, backup sicuri) e prevede meccanismi di mitigazione e risposta (come piani di emergenza, strategie di continuità operativa e disaster recovery). È importante che questo processo sia documentato, aggiornato periodicamente e integrato con momenti di verifica e revisione.
- Politiche di sicurezza informatica: redazione e aggiornamento di policy interne che stabiliscano in dettaglio le regole per l’uso sicuro dei dispositivi (es. computer, smartphone, tablet aziendali), delle reti (es. Wi-Fi, VPN), delle credenziali (es. criteri di complessità delle password, obbligo di cambio periodico, divieto di condivisione), e per la gestione dei supporti informatici (es. dispositivi di archiviazione esterna, backup, cancellazione sicura dei dati). Le policy devono prevedere anche la gestione degli accessi remoti, le procedure di offboarding per ex collaboratori, le regole per l’uso sicuro di strumenti cloud e mobili, e linee guida per l’identificazione e la segnalazione tempestiva di incidenti di sicurezza. È fondamentale che queste policy siano diffuse a tutto il personale, aggiornate periodicamente in base alle evoluzioni tecnologiche e alle normative, e accompagnate da verifiche interne per assicurarne il rispetto.
- Formazione e sensibilizzazione: corsi periodici per dipendenti e collaboratori sui rischi cyber, phishing, social engineering e uso sicuro delle tecnologie, comprendenti non solo moduli teorici ma anche attività pratiche come simulazioni di attacchi (es. campagne di phishing simulato), laboratori per il riconoscimento delle minacce, esercitazioni sui protocolli di risposta agli incidenti e workshop interattivi. La formazione deve essere calibrata sui diversi livelli di responsabilità e competenza, con percorsi avanzati per chi gestisce accessi amministrativi e contenuti più basilari per il resto del personale. È importante prevedere un sistema di verifica delle conoscenze acquisite (es. quiz finali, prove pratiche) e momenti periodici di aggiornamento per garantire l’adattamento ai rischi emergenti e alle evoluzioni normative.
- Strumenti tecnici per la protezione dei dati
Gli strumenti tecnici per la protezione dei dati rappresentano il pilastro pratico delle misure di sicurezza e devono essere scelti in modo mirato, tenendo conto della tipologia dei dati trattati, delle modalità di lavoro (es. in cloud, da remoto, su dispositivi mobili) e delle dimensioni dello studio. Non si tratta solo di installare strumenti generici, ma di integrare soluzioni specifiche per ogni livello di rischio.
Oltre ai firewall e antivirus aggiornati, è necessario implementare sistemi di crittografia per i dati a riposo e in transito, tecnologie di Data Loss Prevention (DLP) per evitare fughe di informazioni, strumenti di gestione centralizzata degli accessi (IAM), sistemi SIEM per il monitoraggio e la gestione centralizzata degli eventi di sicurezza, e piattaforme di backup con piani di disaster recovery testati regolarmente.
Questi strumenti devono essere configurati correttamente, monitorati da personale formato e inseriti in un ecosistema tecnologico coerente che consenta anche audit, reportistica e verifiche periodiche, garantendo così una protezione multilivello.
Gli strumenti tecnologici indispensabili per uno studio professionale includono:
- Firewall e sistemi antivirus aggiornati: dispositivi e software perimetrali che filtrano il traffico in entrata e in uscita, bloccano accessi non autorizzati e identificano minacce note e nuove. È importante non limitarsi all’installazione iniziale: i firewall devono essere configurati correttamente con regole personalizzate per lo studio, mentre gli antivirus devono prevedere aggiornamenti automatici e scansioni periodiche per garantire una protezione costante anche contro malware di nuova generazione;
- Backup regolari e cifratura dei dati: implementazione di strategie di backup automatizzate e testate regolarmente per garantire la disponibilità e il ripristino dei dati in caso di guasto o attacco. I backup devono essere cifrati, archiviati in luoghi sicuri, preferibilmente sia on-premise sia in cloud, e devono prevedere politiche di retention per la conservazione a lungo termine;
- Autenticazione a due fattori (2FA) per l’accesso ai sistemi: implementazione di meccanismi di autenticazione che richiedano almeno due elementi tra qualcosa che l’utente conosce (es. password), qualcosa che possiede (es. token, smartphone) e qualcosa che è (es. impronta digitale), al fine di ridurre drasticamente il rischio di accesso non autorizzato. È essenziale che il 2FA venga attivato non solo per i servizi esterni, ma anche per i sistemi interni critici;
- Software di gestione documentale sicuri: utilizzo di piattaforme affidabili per l’archiviazione, la condivisione e la gestione dei documenti digitali, che prevedano controlli granulari sugli accessi, tracciabilità delle operazioni effettuate (audit trail), versionamento dei documenti, cifratura e backup automatico, garantendo così la protezione del contenuto e la continuità operativa;
- VPN per accessi da remoto: utilizzo di reti private virtuali per garantire connessioni sicure tra dispositivi remoti e i sistemi interni dello studio, proteggendo i dati in transito da intercettazioni e attacchi. È fondamentale scegliere VPN affidabili, configurarle con protocolli sicuri (es. OpenVPN, IKEv2), aggiornare regolarmente i client e monitorarne gli accessi per rilevare eventuali anomalie;
- Monitoraggio continuo delle reti e sistemi di rilevamento intrusioni (IDS/IPS): sistemi di rilevamento e prevenzione delle intrusioni che analizzano il traffico di rete per identificare attività sospette, tentativi di intrusione e anomalie. Gli IDS (Intrusion Detection System) segnalano le attività sospette, mentre gli IPS (Intrusion Prevention System) possono anche bloccare automaticamente traffico malevolo. È essenziale configurare queste tecnologie con regole aggiornate, monitorare gli allarmi generati e integrarli con un sistema SIEM per una visione centralizzata della sicurezza e una gestione coordinata degli incidenti.
- Profili di responsabilità giuridica
La responsabilità giuridica in materia di cybersecurity per gli studi professionali si articola su più livelli: amministrativo, civile e penale.
L’art. 83 del GDPR prevede sanzioni amministrative significative (fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo globale) per violazioni degli obblighi di sicurezza e protezione dei dati.
Sul piano civile, lo studio può essere chiamato a risarcire i danni materiali e immateriali subiti dagli interessati a seguito di violazioni, come previsto dagli articoli 82 e 84 GDPR, anche se il danno deriva da colpa lieve, considerando che il titolare ha un obbligo di diligenza rafforzato nella protezione dei dati e deve poter dimostrare, secondo il principio di accountability, di aver adottato tutte le misure ragionevoli.
Sul piano penale, la normativa italiana prevede sanzioni per specifiche fattispecie gravi, come il trattamento illecito di dati (art. 167 Codice Privacy), l’accesso abusivo a sistemi informatici (art. 615-ter c.p.), l’intercettazione illecita di comunicazioni (art. 617 c.p.) o l’omessa adozione di misure minime di sicurezza (art. 169 Codice Privacy). Inoltre, gli studi devono rispettare anche le regole deontologiche stabilite dagli ordini professionali (es. avvocati, commercialisti, notai), che possono prevedere sanzioni disciplinari in caso di negligenza nella tutela dei dati, come sospensione, censura o radiazione, in base alla gravità delle violazioni.
È essenziale quindi adottare un approccio proattivo e documentato per minimizzare i rischi e garantire la conformità normativa, evitando non solo le sanzioni esterne, ma anche le conseguenze reputazionali, contrattuali e di perdita di fiducia da parte della clientela.
Per rafforzare la tutela, è utile integrare una polizza assicurativa di responsabilità civile professionale che copra anche i rischi informatici (cyber risk), includendo clausole specifiche come la copertura per costi di gestione delle emergenze, spese legali per la difesa in procedimenti amministrativi e penali, risarcimento dei danni ai terzi, costi di ripristino dei dati e servizi di notifica agli interessati. È importante che lo studio valuti attentamente le condizioni contrattuali di tali polizze, assicurandosi che siano aggiornate alle ultime normative e che coprano scenari realistici di rischio.
La mancata adozione di misure adeguate espone lo studio a gravi conseguenze multilivello, che non si limitano alle sanzioni economiche ma comprendono anche ripercussioni reputazionali, contrattuali e operative. Questo significa che uno studio non solo rischia multe e risarcimenti, ma può perdere la fiducia della clientela, subire la rescissione di contratti, vedere compromessa la propria continuità operativa e incorrere in indagini o procedimenti disciplinari presso gli ordini professionali. Pertanto, la valutazione dei rischi e l’attuazione delle contromisure non devono essere viste come costi superflui, ma come investimenti essenziali per garantire la sopravvivenza stessa dello studio.
La mancata adozione di misure adeguate espone lo studio a:
- Sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 83 GDPR, possono arrivare fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo globale, a seconda di quale somma sia maggiore. Queste sanzioni sono graduabili in base alla gravità e alla durata della violazione, al numero di interessati coinvolti, al livello di cooperazione con l’Autorità Garante, alle misure correttive già adottate, e tengono conto di eventuali recidive o comportamenti dolosi o colposi. Le sanzioni possono riguardare sia inadempimenti formali (es. mancata tenuta della documentazione) sia violazioni sostanziali (es. mancata adozione di misure tecniche e organizzative adeguate, mancata notifica di data breach, violazioni dei diritti degli interessati).
- Responsabilità civile per danni causati agli interessati: comprende il dovere dello studio di risarcire sia i danni patrimoniali (come le perdite economiche dirette) sia i danni non patrimoniali (come il danno morale e da stress) subiti dagli interessati a seguito di violazioni di dati personali. Ai sensi dell’art. 82 GDPR, il titolare del trattamento è responsabile anche per i danni derivanti da colpa lieve, a meno che dimostri di aver adottato tutte le misure ragionevoli per evitare il danno (principio di accountability). La responsabilità civile può includere anche i costi di notifica agli interessati, le spese per azioni correttive e i danni da perdita di opportunità commerciali legati alla violazione.
- Responsabilità penale in caso di violazioni particolarmente gravi (es. trattamento illecito di dati): riguarda fattispecie disciplinate sia dal Codice Privacy sia dal Codice Penale, come l’art. 167 (trattamento illecito di dati), l’art. 615-ter c.p. (accesso abusivo a sistemi informatici), l’art. 617 c.p. (intercettazione illecita di comunicazioni), l’art. 617-bis c.p. (installazione di apparecchiature atte a intercettare comunicazioni), l’art. 635-bis e seguenti c.p. (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici) e l’art. 169 Codice Privacy (omessa adozione di misure minime di sicurezza).
Le sanzioni possono includere ammende e reclusione e si applicano non solo alle persone fisiche (es. titolari, responsabili, dipendenti) ma anche alle persone giuridiche ai sensi del D. Lgs. 231/2001, che prevede la responsabilità amministrativa degli enti in caso di reati informatici commessi nell’interesse o a vantaggio dello studio. È fondamentale che gli studi predispongano modelli organizzativi adeguati (es. modello 231), aggiornino i presìdi tecnici e organizzativi e formino il personale, poiché la giurisprudenza evidenzia che la mancata adozione di misure di prevenzione può costituire elemento di colpa organizzativa, aggravando la posizione dello studio sia sul piano penale sia su quello amministrativo.
Gli studi devono inoltre tenere conto delle linee guida dell’Autorità Garante e delle eventuali disposizioni deontologiche dettate dagli ordini professionali, approfondendo e integrando questi riferimenti nelle proprie pratiche quotidiane. Questo significa consultare regolarmente i provvedimenti e le raccomandazioni ufficiali (es. linee guida su data breach, misure di sicurezza minime, controlli sui responsabili del trattamento), adottare i codici di condotta e le prassi condivise del proprio settore, e adeguare le procedure interne per garantire una piena conformità non solo formale, ma anche sostanziale.
In conclusione, la cybersecurity per gli studi professionali non è solo un requisito normativo, ma un pilastro indispensabile per la tutela della fiducia dei clienti, per la continuità operativa e per la sopravvivenza stessa dell’attività: investire in misure di sicurezza, formazione e aggiornamento significa costruire uno studio resiliente, competitivo e capace di affrontare le sfide di un contesto digitale in continua evoluzione.