Introduzione. 

Nonostante siano trascorsi molti anni dall’entrata in vigore del D.lgs. 231/2001 sono ancora molti i problemi interpretativi tuttora dibattuti. Un profilo di grande interesse su cui dottrina e giurisprudenza continuano a confrontarsi è quello riguardante i concetti di “interesse” e “vantaggio”.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15543/2021, è tornata a soffermarsi sul tema, nell’ambito di un giudizio cautelare in cui era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme nella disponibilità di alcune persone fisiche e di due enti in relazione alla consumazione del delitto di corruzione.
I criteri oggettivi di imputazione della responsabilità all’ente: le nozioni di interesse e vantaggio.
L’articolo 5 del D.lgs. 231/2001 prevede, come criterio di imputazione oggettiva del reato all’ente, non solo che il reato sia riconducibile a un soggetto apicale o subordinato dell’ente, ma anche che sia stato commesso «nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso». I concetti di interesse e vantaggio sono, dunque, determinanti ai fini della normativa del D.lgs. 231/2001, tanto che l’ultimo comma dell’articolo 5 prevede che l’ente non risponde se l’autore del reato ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. 
Ancora oggi si discute sul contenuto da attribuire ad entrambi i termini e gli orientamenti principali sono sostanzialmente due: secondo una parte della dottrina, in buona parte superata, essi costituirebbero una endiadi, quindi sarebbero nozioni identiche; dottrina e giurisprudenza maggioritaria, invece, li considera concetti autonomi e distinti. 
La Suprema Corte, infatti, ha più volte affermato che questi criteri di imputazione oggettiva sono alternativi e concorrenti tra loro.
Il criterio dell’interesse è elemento caratterizzante della condotta del soggetto agente connotato da una chiara indole soggettiva ed esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto; quello del vantaggio, invece, ha una connotazione oggettiva ed è valutabile ex post sulla base degli effetti e dei benefici derivati dalla realizzazione dell’illecito e indipendentemente dal fine originario del reato. A tale ricostruzione si giunge anche avendo come riferimento la Relazione illustrativa al Decreto, il cui testo esprime chiaramente come i due concetti si porrebbero in rapporto di alternatività. Ciò sarebbe confermato dalla congiunzione disgiuntiva «o», presente nella disposizione, che lega i due termini nel sintagma normativo.
Come anticipato, sul punto si è recentemente espressa la Corte di Cassazione affermando che: «Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, è sufficiente la prova dell’avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 da parte dell’ente, anche quando non sia possibile determinare l’effettivo interesse da esso vantato ex ante rispetto alla consumazione dell’illecito, purché il reato non sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi».
Pertanto, se è vero che l’accertamento di un esclusivo interesse dell’autore del reato o di terzi alla consumazione del reato impedisce di collegare il fatto all’ente, ciò non significa che il criterio del vantaggio non possa assumere una sua autonoma valenza.
Conclusioni.
Ripercorsa brevemente la problematica inerente al significato da attribuire all’espressione “interesse o vantaggio”, sembra condivisibile la soluzione individuata dalla Suprema Corte. 
I due criteri sarebbero, dunque, alternativi e la nozione di “vantaggio”, già valorizzata dalla dottrina e da precedenti pronunce di merito e di legittimità, sarebbe da considerarsi autonoma rispetto a quella di “interesse”.
In particolare, la Corte di Cassazione con la sentenza 30/01/2006 n° 3615, poi richiamata dalla tristemente nota sentenza a Sezioni Unite Thyssenkrupp, ha affermato che i due vocaboli esprimono concetti giuridicamente diversi e rappresentano, pertanto, criteri autonomi.
Nell’attesa di un intervento risolutivo del legislatore per sciogliere i dubbi interpretativi sui due concetti in esame, la questione resta aperta a diverse interpretazioni e “mutamenti di rotta” da parte della Suprema Corte.

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